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Vicenza, il modello di lavoro è “piccolo ma hi-tech”
3 luglio 2023
7 minuti di lettura
I dati dell’Osservatorio della Camera di Commercio: la nostra economia corre grazie agli investimenti digitali delle realtà locali. Ma servono sempre di più figure specializzate.
Un territorio di piccoli imprenditori, che cresce, dà lavoro e investe molto nell’innovazione delle aziende, ma che deve anche fare di più per dare opportunità ai suoi giovani: è lo spaccato che emerge dai dati dell’ultimo Osservatorio sull’Economia e sul Lavoro redatto dalla Camera di Commercio di Vicenza.
Un quadro più che incoraggiante, dopo gli anni terribili della grande pandemia, e questo soprattutto dal punto di vista della diffusione di una nuova cultura nei confronti degli investimenti tecnologici, ambito che naturalmente ci interessa da vicino. Non manca però qualche zona d’ombra, su cui le aziende dovranno interrogarsi in chiave futura.
Il nuovo manifatturiero: piccolo ma “hi-tech”
La provincia di Vicenza è una realtà pressoché unica in Italia per l’altissima densità imprenditoriale. Con quasi 80mila aziende iscritte al registro imprese della Camera di Commercio, è praticamente imprenditore quasi 1 vicentino ogni 9.
Il 90% delle attività ha comunque tra 1 e 9 addetti, segno che continua a imporsi un modello di attività di stampo artigianale o famigliare. Ed è un modello che funziona, se è vero che la redditività media nell’ultimo anno ha raggiunto il +28,9% rispetto al 2020, ossia quasi 6 volte il dato nazionale.
Altro elemento distintivo: la vocazione al manifatturiero delle nostre imprese, che con il 16,7% sul totale sono quasi il doppio rispetto alla media italiana (9,2%). Imprese che comunque non si risparmiano quando si tratta di investire in nuove tecnologie, con Vicenza al 6° posto in Italia per numero di domande di brevetto industriale presentate, di cui una buona componente legata al rinnovamento dei processi produttivi.
Dalla loro parte c’è uno spiegamento di forze importante, di questi tempi, legato ai contributi previsti dal PNRR. Che proprio qui arrivano alla soglia più alta in tutto il Veneto: dei 565 milioni complessivi in arrivo a Vicenza, 92 milioni sono quelli destinati proprio all’innovazione aziendale.
Più innovazione, meno disoccupazione
Innovazione e disoccupazione: due dinamiche non direttamente collegate da un legame di causa effetto, ma quasi. Se infatti da un lato cresce esponenzialmente il tasso di sviluppo tecnologico medio del nostro sistema produttivo, dall’altro crolla la disoccupazione.
Vicenza è al 7° posto in Italia per percentuale di occupati (68,6%, media italiana 58,2%), con la disoccupazione appena al 3,5% e quella femminile al 4,5%, cioè in entrambi casi a meno della metà della statistica nazionale.
Sulle nuove assunzioni il peso decisivo è ancora della manifattura (20,9%) rispetto al totale degli occupati, dato che si conferma in netta accelerata anche nel primo semestre 2023.
Da questo punto di vista, la fame di innovazione delle nostre imprese ha effetti positivi anche a cascata, dato che determina un netto aumento di occupazione anche nelle attività classificate come “KIBS” (Knowledge Intensive Business Service). Ossia, tutte quelle società che offrono consulenza spinta e super specializzata proprio per lo sviluppo del business. Nella provincia berica, difatti, la forza lavoro KIBS è salita nell’ultimo anno del +7,3%, con picchi di crescita proprio nelle attività di consulenza informatica.
L’altra faccia della medaglia
Tutto bene, quindi? Non proprio, perché ci sono altre dinamiche da non sottovalutare, guardando a prospettive di medio-lungo periodo: se è vero che la disoccupazione è ai minimi, dall’altro lato va tenuto in considerazione che in 10 anni la quota dei lavoratori “senior” è triplicata. E questo sia per il calo demografico, dato che l’età media dei lavoratori vicentini è di 46 anni, ma soprattutto per la necessità di inserire personale formato adeguatamente rispetto ai bisogni del mercato di oggi.
Si stima, difatti, che 1 azienda su 2 prevede problemi nel reperire figure da integrare in organico, con una difficoltà particolarmente marcata per profili come ingegneri e tecnici informatici.
In sintesi, il nostro sistema produttivo sta andando veloce incontro al futuro, ma potrebbe trovarsi presto scarico della sua risorsa più preziosa: il fattore umano, alla base della buona tecnologia che crea occupazione, redistribuisce valore e genera opportunità.
Come uscirne? Al netto delle considerazioni di carattere demografico, c’è bisogno di investire di più nella formazione tecnica delle nuove generazioni, centrale anche tra i punti previsti nel PNRR. Tutto questo a partire dai primissimi cicli scolastici, che possono già fare molto per ampliare le competenze digitali di base con cui avvicinare i lavoratori del futuro a percorsi STEM, come abbiamo avuto modo di dimostrare attraverso il progetto della nostra AXERA Academy.
Ci vorrà del tempo, ma ciò che è certo che di tempo da perdere ne rimane ben poco. E ce lo sta chiedendo il nostro domani.
Vuoi provare ad immaginarlo con noi?
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