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Nuove regole allo smart working: un futuro “remoto”?
18 settembre 2023
7 minuti di lettura
Dal 30 settembre scatta per tutti lo stop al lavoro a distanza senza accordi individuali. E per imprese e lavoratori è tempo di bilanci, alla ricerca della formula perfetta.
Smart Working e nuove regole, tempo di guardare avanti… tornando indietro. Dal 30 settembre, infatti, scatta il rientro in ufficio per tutti, anche i lavoratori più fragili, in assenza di specifici accordi individuali.
Questo naturalmente non significa fine del lavoro a distanza tout-court. Chi sta operando da casa potrà continuare a farlo, ma per essere certi di rispettare le regole i dipendenti e l’azienda dovranno necessariamente accordarsi tramite un perfezionamento ad hoc del singolo contratto.
È prevista una proroga alla scadenza – e quindi alla possibilità di continuare in smart anche senza adeguamento di contratto – ma solo fino a fine anno, e solo per i dipendenti a elevato rischio di salute in caso di contagio (accertato a livello medico) oppure con un figlio minore di 14 anni, se l’altro genitore è regolarmente lavoratore.
Sembra quindi oramai prossima, da un certo punto di vista, la fine di un ciclo che ha di fatto coinciso con il periodo peggiore della grande pandemia. Che bilancio trarre quindi da un’esperienza che ha messo molte aziende all’angolo, costringendole inevitabilmente a fare i conti con un’immediata necessità di cambiamento del paradigma organizzativo?
Abbiamo provato a mettere insieme le riflessioni più interessanti.
Smart working in Italia: luci e ombre
Prima del Covid, parlare di smart working in Italia significava spesso semplificare di molto la questione, limitando il lavoro remoto ad alcune giornate, solo quando strettamente necessario, e senza la fornitura di strumentazione aziendale.
Poi è arrivata la pandemia e tutto è cambiato. L’aspetto positivo è che si è scoperto che la presenza “a tutti i costi”, in determinati ambiti, non è così fondamentale per garantire continuità operativa all’azienda. Quello negativo è che servono risorse e strumenti adeguati per mettere realmente i dipendenti nella condizioni di condividere informazioni e materiali esattamente come se fossero in ufficio.
Come una connessione rapida, protetta e affidabile, per non interrompere la propria attività e dare accesso a qualsiasi dato al massimo della velocità. Oppure un firewall VPN, in grado di gestire tutte le connessioni e portare ovunque il materiale indispensabile al team collegato. E naturalmente un buon cloud, per rendere le risorse interamente condivise da qualsiasi postazione e posizione lavorativa.
Tutte tecnologie che per molte aziende del nostro Paese rappresentavano – e in troppi casi purtroppo rappresentano ancora – fantascienza.
Certo, per qualcuno gli incentivi statali hanno rappresentato un’ottima occasione per cominciare a investire e interrogarsi sul futuro. In realtà, però, l’onda lunga ha iniziato ad appiattirsi quasi subito, se si pensa che oggi lo smart working italiano è salito dal 4,8% al 13,7% tra il 2019 e il 2020, ma si è rapidamente fermato all’attuale 14,9%, con un potenziale che potrebbe invece aumentare ad almeno il 40%.
I visionari
Tra chi ha provato a vederci lungo, ci sono tantissime formule differenti messe in pratica. La digital native agency Caffeina, per esempio, ha lanciato la formula “Work from X”, che permette ai lavoratori di lavorare indifferentemente in ufficio, nelle immediate vicinanze o completamente dove si vuole – naturalmente sulla base di un coordinamento concordato e strutturato.
Poi c’è il caso di Reale Mutua, che entro quest’anno punta a estendere il modello smart al 100% della popolazione aziendale, integrando in parallelo interventi per rendere più confortevoli, flessibili e attenti al benessere del personale tutti gli spazi aziendali condivisi.
Ancora più spinta la strada battuta infine da Microsoft, che dopo aver introdotto tra le prime al mondo il lavoro agile oltre 10 anni fa, ha scelto di concedere un illimitato “Discretionary time off”, ovvero il tempo che i dipendenti si possono prendere per se stessi staccando dall’attività lavorativa.
Niente Zoom per Zoom
Il paradosso però è che moltissimi brand, soprattutto nel mondo hi-tech, hanno cominciato a fare marcia indietro. Il caso più eclatante è quello di Zoom, colosso digitale nel mercato degli strumenti per connettere team di lavoro in videoconferenza, che ha scelto di richiamare i dipendenti in ufficio almeno due giorni alla settimana.
Anche Google, nel frattempo, si è attivata per invitare i dipendenti smart al ritorno almeno al lavoro ibrido.
E la lista si allunga, considerando episodi analoghi che riguardano Amazon, Apple, Disney, Goldman Sachs, IBM, JP Morgan, Salesforce e pure Starbucks e Uber.
Verso un modello “workation”
Sarà quindi un avvenire “remoto” quello del lavoro del futuro? Se lo stanno chiedendo tutti, soprattutto in un momento dove gli aspetti legati alla conciliazione della vita professionale con quella personale sono sempre di più l’elemento che fa la differenza nell’attrattività di un’azienda.
La risposta più giusta sembra potrà essere l’impostazione ibrida. Quella cioè che mette nelle condizioni il dipendente di alternare la presenza fisica al lavoro a distanza, naturalmente nel rispetto dei requisiti tecnologici che possono realmente permettergli di dare il meglio come se fosse in ufficio.
Le condizioni per rendere realmente produttiva e non “spersonalizzante” l’attività da remoto sono difatti sempre le stesse: sceglierla come formula volontaria e non imposta, e soprattutto garantire dei regolari momenti di confronto e scambio fisico.
Il prezzo? Attivare in azienda un vero change management, investendo in tutta l’organizzazione aziendale. A cominciare certo dalle tecnologie, ma senza dimenticare l’attenzione a obiettivi e metodi di riorganizzazione smart del lavoro.
Il punto di arrivo è il modello della cosiddetta “workation”, neologismo che tiene insieme i termini “work” e “vacation”, ossia lavoro e vacanza. Non tanto per appiattirli l’uno sull’altro, ma per portare a vivere il primo in modo… più simile al secondo per livello di relax, elasticità e contesto intorno. E questa sì che può essere la vera rivoluzione smart.
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